martedì 13 febbraio 2018

Native Advertising

Oggi parliamo di un fenomeno, quello del “Native Advertising”, che e’ di fatto una delle forme di pubblicita’ occulta piu’ insidiose, non tanto perche’ la pubblicita’ occulta e’ quasi onnipresente, ma perche’ si fa pubblicita’ travestendo la pubblicita’ stessa da notizia. Quanto la tendenza abbia disabituato il lettore a cercare la verita’ nelle notizie, non sta a me scriverlo. E nemmeno sta a me decidere se questa pratica nasconda forme di pagamento “estero-su-estero”.

Ma andiamo per ordine. Di che cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di una tecnica che negli USA si chiama “Native Advertising”, il quale serve innanzitutto ad imbrogliare l’utente, ma anche a sforare limiti di legge sulla raccolta pubblicitaria, e in alcuni giornali serve anche ad evadere il fisco: se una pubblicita’ non e’ riconoscibile, il controllore governativo non riesce a sospettare che sia stata pagata, e quindi con un opportuno versamento “estero su estero” la fatturazione sfugge alle tasse.

Ovviamente non sto dicendo che tutto il Native Advertising nasca per frodare il fisco o per sforare i limiti di legge sulla raccolta pubblicitaria. Magari serve solo come alternativa alla pubblicita’ occulta. La differenza e’ semplice: nella pubblicita’ occulta il prodotto appare in una trasmissione di successo, ma non ha la pretesa di essere una notizia. Nel Native Advertisement, invece, la pubblicita’ pretende di essere una notizia. Nel caso della pubblicita’ occulta, quindi, si parla di etica aziendale. Nel caso di Native Advertisement, ad andare persa e’ l’etica giornalistica.

Il problema e’ che mentre negli USA la legge che obbliga a segnalare il contenuto “che condivide la possibilita’ di raccontare una storia” riguarda qualsiasi cosa, in Italia la distinzione e’ molto piu’ sottile, nel senso che se una cosa che succede ad apple e’ vera, da allora viene considerata una notizia, e quindi non e’ considerata un contenuto sponsorizzato.

Prendiamo un esempio:
https://www.lastampa.it/2018/02/12/tecnologia/news/apple-vende-pi-orologi-di-tutti-i-produttori-svizzeri-messi-assieme-3NeJ7C1rPRNckaduCCJiGK/pagina.html

Questo esempio calza a pennello: ovviamente non sto dicendo che sia “native advertising” ma ha alcune caratteristiche che calzano a pennello. Non dico che lo sia, dico che se qualche maligno lo dicesse, La Stampa potrebbe far fatica a difendersi.

In teoria e’ una notizia. O meglio, lo sembra.
Ma lo sembra solo fino ad un certo punto: nel senso che uno smartwatch non e’ un orologio da polso di classe. Certo, sullo smartwatch potete leggere l’ora. E per questo potete allora fare il confronto? Bene. Ma se basta un elemento funzionale in comune per scatenare il confronto, mi aspetto di vedere AppleWatch venire confrontato col numero di orologi a cucu’ venduti, col numero di bracciali di Cartier venduti, col numero di Agende Calendario vendute, col numero di telecomandi TV venduti, eccetera.

Del resto, ci sono automobili di lusso, come alcuni modelli di Bentley e Rolls Royce, che hanno quasi tutte le funzioni di uno smartwatch, se non tutte. Quasi tutti i modelli hanno integrate delle funzionalita’ analoghe se non identiche. Non vedremo, temo, paragonare le vendite di Bentley con le vendite di Apple Watch.

Del resto, laddove l’occasione richieda un Rolex, difficilmente troverete uno smartwatch. Ma non e’ questo il punto: quell’articolo riporta una non-notizia. I competitor di Apple Watch esistono, ma sono prodotti da altre aziende, e Apple e’ solo terza nel settore (ma lo vedremo dopo).

Ed e’ questa la cosa strana di quell’articolo: tra i produttori di smartwatch, nomina SOLO Apple. Non nomina NESSUNO dei suoi concorrenti. Sebbene SEMBRI che l’articolo dica che Apple vince sulla concorrenza, esso NON parla della reale concorrenza, ma di aziende che NON producono smartwatch.
E’ come se Mc Donald’s dicesse: ho venduto piu’ panini in una settimana di quanti Apple iPhone siano venduti in tre anni. Il paragone sembra indicare che Mc Donald’s stia stravincendo, ma ha il piccolo difetto di NON paragonare Mc Donald’s con altre catene di panini. Cioe’ coi diretti concorrenti.
Samsung viene citata alla fine, ma il numero di Samsung venduti non viene paragonato a quello degli orologi svizzeri. Alla fine dell’articolo Samsung viene citata come il perdente, ma non si dice con quali numeri, ne’ si citano le due aziende che vendono piu’ di Apple.

Immaginate per un attimo che quello sia “Native Advertising” e mettetevi nei panni di chi paga: se io sono, diciamo, Apple, e pago per avere un articolo che parli di me, non voglio che parli anche Xiaomi o fitBit, per esempio: non si deve menzionare prodotti concorrenti. Ma sono disposto a tollerare che per esigenze “giornalistiche” siano citate delle aziende non-concorrenti, o concorrenti perdenti: ma non piu’ di uno, perche’ non voglio pagare per sembrare uno dei tanti. (ma sui “tanti ” tornero’ sotto)

Il primo sintomo di Native Advertising e’ che l’articolo SEMBRA una notizia, ma oltre allo sponsor nascosto NON fa paragoni SENSATI con i veri competitor di mercato.

Un altro punto del native advertising e’ che i non-concorrenti citati non temono davvero Apple. Dal momento che Rolex e Swatch non fanno smart watch, alla fine tutto si riduce a questo inutile pippone:

https://i.imgur.com/xTfZsjV.png

In pratica, vi stanno dicendo: stiamo paragonando cose che non ha senso paragonare, OMETTIAMO di fare confronti con la concorrenza, e vi diciamo che ad Apple sono bastati quattro anni per superare nelle vendite un’industria centenaria. Interessante: perche’ non dire allora che con 8 milioni di copie, Apple ha superato anche il Prosciutto di Norcia DOC? Pur con tutti i distinguo del caso, il dato rimane rilevante: Apple ha superato in quattro anni un marchio rinomatissimo dell’agroalimentare di qualita’.

E la schiuma non finisce qui: anche quando andiamo a cercare il numero “8 milioni” , scopriamo che non e’ fornito da Apple, ma:

https://i.imgur.com/Q3xXUU4.png

In pratica, non c’e’ nemmeno la notizia. Apple non ha mai detto di aver venduto 8 milioni di Smart Watch, ma ha detto cose che ALTRI hanno interpretato come “8 milioni” , facendo una cosa che si chiama “estrapolazione”, ovvero calcolando un numero al di fuori del campo nel quale si hanno dati certi.

Questa si chiama “schiuma”: un sacco di parole che riempiono una pagina, e che come la schiuma non contengono praticamente nulla. L’articolo parte facendo sembrare che Apple abbia vinto chissa’ quale competizione, ma:
  1. Specifica che non si tratta di prodotti in competizione con Apple Watch.
  2. Specifica che i numeri non sono di Apple, che peraltro non diffonde numeri ufficiali a riguardo.
Ma il problema e’ che il numero otto milioni viene sparato senza dargli un contesto. Otto milioni sono tanti? Sono pochi? Quanti sono, TUTTI gli smart watch venduti nel mondo? Andiamo a vedere cosa dice proprio uno degli “estrapolatori” citati dall’articolo.

Secondo IDC Worldwide Quarterly Wearable Device Tracker,(citato nell’articolo) ecco le cifre.

https://www.idc.com/getdoc.jsp?containerId=prUS42342317

https://i.imgur.com/4gckTZZ.png

Sono un bel pochino: a fine 2016, erano 102 MILIONI.

Altra caratteristica tipica del Native Advertisement: non fornire mai un sistema di riferimento o un contesto che potrebbero aiutare il lettore a capire le proporzioni in gioco.

Ma andiamo avanti con un’altra caratteristica tipica del Native Advertisement: il cherry-picking.

Stranamente, Fitbit di Smart Watch ne vende molti di piu’. Vedete apparire FitBit sull’articolo della stampa? vedete comparire Xiaomi? No, solo orologi svizzeri Ora, qualcuno potra’ obiettare circa il fatto che Fit Bit faccia prodotti molti diversi (non xiaomi, pero’), ma siccome l’articolo fa il paragone con gli orologi svizzeri Rolex, l’obiezione e’ respinta. Quindi, andiamo avanti.

Un altro punto che consente di sgamare il Native Advertising e’ che il dato non viene MAI contestualizzato, e non vengono MAI forniti link agli studi. Significa che si, IDC viene citata tra le fonti dell’articolo, ma non viene fornito il link che consente di paragonare le vendite: Apple e’ terza.

E qui arriviamo al quasi-falso:

https://i.imgur.com/X9GRhsE.png

Ora, se guardate bene la tabella di cui sopra, scoprite che Samsung non e’ per niente l’unico contendente, perche’ ne esistono altri due (Fitbit e Xiaomi) che battono Apple in vendite. (Quindi, battono anche gli orologi svizzeri e il numero di prosciutti di Norcia, visto che vi piacciono i paragoni ad minchiam)

Tra l’altro, nel 2016 apple era in diminuzione rispetto all’anno precedente. E se consideriamo che stiamo parlando di 8 milioni nel 2017, faccio notare che nel 2016 erano 10.7. A me non sembra una crescita.

Certo, se noi “think different” allora passare da 10.7 milioni ad 8 milioni e’ una crescita. E una vittoria. Dipende da quanto “think different” siete disposti a fare.

Si, maaaa…. quanto buoni sono i dati di IDC? Prendiamo quelli del 2017 da qui:

https://www.idc.com/getdoc.jsp?containerId=prUS43260217

https://i.imgur.com/2FV88Bu.png

E il mercato come va?

https://i.imgur.com/BFRURa2.png

Questo e’ il punto. Apple rimane terza, e onestamente se interpreto bene i colori la sua quota di mercato cede, mentre quella che cresce e’ Huawei (che l’articolo non menziona).

Insomma, per arrivare agli 8 milioni, e a dire che si e’ cresciuti rispetto all’anno prima, si e’ dovuto fare molto “cherry picking”, cioe’ scegliere solo i dati che fanno comodo e tralasciare gli altri:

Ultima caratteristica del Native Advertising e’ quello del cherry-picking: rispetto ai dati citati, si scelgono sempre e solo quelli che fanno comodo a chi paga l’articolo.

Ripeto: non so se l’articolo in questione sia Native Advertisement. Magari il giornalista e’ solo un fan sfegatato di Apple. Ma se qualche maligno accusasse La Stampa di aver fatto Native Advertisement, sarebbe difficile per La Stampa difendersi. In definitiva, non dico che quell’articolo SIA Native Advertisement, ma lo uso come esempio perche’ e’ indistinguibile dal Native Advertisement.
 
Riassumendo, quando vedete:
  • Prodotti paragonati a non-concorrenti.
  • Un solo marchio vincente in un articolo.
  • Cherrypicking dei dati o dei concorrenti.
  • Mancanza di contesto globale.

potete ragionevolmente pensare che l’articolo sia indistinguibile dal Native Advertisement. Quanto sia una fake news a pagamento, spetta a voi deciderlo.